CENTRO STUDI TRADIZIONI POPOLARI PER LA RICERCA
E LA DOCUMENTAZIONE DEMOETNOANTROPOLOGICA
“ALFONSO M. DI NOLA”
Dèi potenti, eroi solitari, vichinghi, elfi, giganti, norne, valchirie, animali ed esseri fantastici sono protagonisti di intricate e complesse vicende che costituiscono l’affascinante corpus mitologico norreno. Accanto a Odino, Thor, Baldr, appaiono divinità più enigmatiche, ambigue e intriganti, come Loki, vero “motore delle storie” che animano uno scenario mitico e leggendario. Basandosi sulle fonti originali che hanno in parte preservato il patrimonio culturale e religioso dei popoli del Nord, il testo ripercorre le tappe e i temi chiave di una mitologia unica e ancora poco conosciuta, che ha ispirato scrittori e artisti di vario genere, da Tolkien a Wagner. Racconti e miti di creazione e distruzione, morte e rinascita, divinità ed eroi, che offrono uno spaccato della spiritualità e dell’immaginario dei popoli del Nord, scevro da qualsiasi mistificazione.
I miti dell’antica Grecia sono un ricco e multiforme intreccio di storie che sono entrate a far parte del nostro patrimonio culturale. Addentrarsi in questo mare vastissimo di trame, frutto di stratificazioni e aggiustamenti avvenuti nel corso dei secoli, è un’esperienza ogni volta sorprendente, perché i motivi che ricorrono nel mito ritornano nel nostro quotidiano ben più di quello che potremmo pensare. Le vicende di eroi, maghe, mostri leggendari e dèi capricciosi sono archetipi che risuonano nel nostro immaginario anche senza che ce ne rendiamo conto. In questo libro sono raccolte le storie che riguardano le principali figure mitologiche dell’antica Grecia: basta sfogliare le prime pagine per venire trasportati in un universo in cui il tempo è eterno e dove eroiche gesta, vizi e passioni sono eccezionali.
Le leggende e i miti di Roma antica ci restituiscono l’immagine di un mondo perduto, con altissimi valori etici e civili. Fin dalla fondazione, con il legame che viene stabilito tra l’Urbe e la città di Troia, è evidente la continuità con i modelli greci. Ma la straordinaria fluidità culturale di Roma, in grado di dimostrarsi permeabile alle suggestioni di popoli vicini e lontani, ha fatto sì che al ristretto pantheon originario andassero ad aggiungersi modelli nuovi, testimonianza di scambi continui con il resto del mondo noto. In questa raccolta delle figure mitiche più celebri si passa da Giano, il potente dio bifronte, in grado di posare contemporaneamente lo sguardo sul regno dei vivi e su quello dei morti, a eroi oggetto di venerazione, come i gemelli Castore e Polluce, per finire ai personaggi a cavallo tra storia e leggenda, come i sette re di Roma. Al di là di una spiccata tendenza al sincretismo, il patrimonio mitico dei Romani coincide con la loro stessa storia e partecipa pertanto a quell’idea di Roma che si è andata sviluppando nel corso dei secoli.
Da un passato recente della nostra storia, ma remoto nelle coscienze, riaffiorano attraverso narrazioni femminili vicende e visioni di mondi diversi. Storie di donne, la cui forza e dignità hanno garantito alla società contadina, perennemente vittima di miserie, di guerre e di emigrazioni, la sua sopravvivenza e continuità. E oggi diventa per loro, testimoni della fine di una civiltà e della fuga da essa delle ultime generazioni, sempre più difficile orientarsi nella trama di modelli culturali, spesso svuotati di quei valori che avevano scandito le loro opere e i giorni. Protagoniste silenti di una historia minor, ma non per questo meno importante e significativa ai fini della comprensione del tempo attuale.
L’obiettivo del libro è sottolineare l’urgenza di un’antropologia gramsciana fondata su un metodo critico-politico. Esaminando le vocazioni antropologiche delle scritture di Antonio Gramsci, si intende gettare le basi per iniziare l’«inventario» delle «infinite tracce» impresse dalla storia nel nostro corpo, come aveva egli stesso auspicato. Con scaltrezza e sensibilità, possiamo allontanarci dalle forme espressive dell’elucubrazione mentale, trasformando ogni riflessione teorica in una pratica, una postura fisico-politica da assumere con responsabilità sulla scena pubblica. Fin dal suo avvio, l’antropologia di Gramsci appare un’impresa densa e difficile. Eppure riserva un piacere intenso. Timore, trepidazione, fascino, gioia e altre emozioni coinvolgono chi si avvicini alla prosa gramsciana, dolcissima e complicata, lucidissima e implacabilmente riflessiva, grandiosa e terribile come il mondo nella sua interezza. Leggendo, possiamo «sentire e comprendere» un “Gramsci antropologo” nelle parole che egli ha riversato in quotidiani, riviste, lettere e quaderni, prima degli anni del carcere e durante la prigionia, in una straordinaria e sofferta esperienza di ricerca, conoscenza e lotta politica.
Dal Vesuvio alle profondità marine, la città di Napoli può essere raccontata utilizzando un senso nuovo: l’udito. Ci sono rumori scomparsi, come il tintinnio delle bottiglie del lattaio la mattina, e suoni che si tramandano, come le canzoni dei “posteggiatori”; le stridule grida dei cantatori della cultura popolare e le voci perfette dei cantanti della nuova “tradizione”; le voci degli imbonitori dei mercati, che conservano secoli di storia in poche strofe, e voci nuove, come il venditore di “infilaaghi” sulla funicolare. I terribili rumori del traffico e il fragore dei botti di Capodanno, che allontanano i mali futuri e passati, e quelli delle pistole dei camorristi che vorrebbero governare anche acusticamente questa città. E poi c’è il mare, il rumore del mare, dallo sciabordio delle onde ai fondali, con nuove forme di vita come delfini e cetacei che stanno ritornando nel Golfo. Suoni e rumori che sono in grado di raccontare la storia, l’antropologia e i cambiamenti della secolare città di Napoli. Basta prestare loro ascolto.
Gli animali sono da sempre presenti nei miti e nelle leggende perché sono per noi indispensabili. Sono metafore viventi delle nostre angosce, paure, speranze e di tutto ciò che non riusciamo a esprimere in altro modo. In questo libro sono raccolte storie originali – talvolta mai tradotte prima in italiano – che mostrano un mondo apparentemente fantastico e ingenuo, ma che è collegato ad antichi riti, credenze e religioni delle più varie culture del mondo. Il lettore scoprirà, per esempio, come un simpatico maialino possa diventare un essere mitologico che aiuterà sant’Antonio, novello Prometeo, a donare il fuoco agli uomini; come un placido orso che mangia mirtilli nella foresta sia in realtà un assatanato dongiovanni che in seguito darà vita al più romantico gorilla King Kong. Ancora, scoprirà che i miti e le leggende degli animali sono creazioni tutte umane per tentare di rispondere all’eterna domanda sulle nostre origini: ma “noi”, discendiamo davvero da “loro”?
La storia degli uomini e delle donne del Medioevo ha modellato e influenzato profondamente il modo di vivere dei popoli europei e ancora si ripresenta nel nostro quotidiano sotto molteplici forme. Un periodo storico contraddittorio, in bilico perenne tra oscurantismo e idealizzazione, che è caratterizzato da grossi sconvolgimenti nei rapporti politici, sociali e, soprattutto, religiosi.La scomparsa degli antichi culti,sostituiti gradualmente dal cristianesimo, e l’ingresso in uno spazio politico e religioso comune di quei paesi che erano rimasti fuori dalla civiltà romana sanciscono l’atto di nascita dell’Europa, in cui hanno origine e si consolidano sincretismi religiosi, consuetudinari e giuridici che regoleranno e condizioneranno a lungo la vita dell’uomo occidentale fino ai nostri giorni. Momento essenziale del nostro passato, questo affascinante e sorprendente viaggio nel Medioevo potrà «dare il duplice piacere di incontrare insieme l’altro e voi stessi» (Jacques Le Goff)
“Sto preparando un volume intitolato “Lezioni dall’obitorio”: nasce da un corso che ho tenuto al perfezionamento di psichiatria del policlinico [di Napoli, n.d.r.]. Analizzo, nel corso del testo, la relazione tra fenomeni cinturali e dati psichiatrici. Il titolo nasce dal luogo senza dubbio tetro, ma adatto a pensare,dove ho tenuto le mie lezioni.” Così il 7 marzo del 1988, in un’intervista al “Corriere della Sera”, Alfonso Maria di Nola annunciava un suo nuovo progetto di pubblicazione. Quel lavoro non uscì mai, ma negli ultimi trentanni del Novecento, di Nola aveva sviluppato, in piena autonomia scientifica e intellettuale, un’originale linea italiana di antropologia medica ed etnopsichiatria. Il testo qui proposto prova a dare un esito a quell’annuncio di Alfonso Maria di Nola, grande antropologo e storico delle religioni, protagonista della scena scientifica e pubblica italiana. Questa raccolta di diciotto scritti risponde all’esigenza di mettere in luce il fondamentale contributo che di Nola ha dato all’antropologia medica e all’etnopsichiatria e testimonia le premesse, i risultati e gli avanzamenti di una linea specifica nello studio delle culture del corpo, della salute e della malattia. Staordinari quadri critico-comparativi, di grande efficacia, che spaziavano tra sindromi bio-mediche o psichiatriche e complessi mitico-rituali noti alla Storia delle religioni italiane. Così si esprimeva Alfonso M. di Nola: “Il problema, quindi, si ripropone, in forma finale, come momento particoarmente teso di educazione politica delle classi mediche ufficiali in presenza delle alterità culturali, da considerarsi nella loro integrità di tramite di patrimoni tradizionali di dimensione diversa dalla nostra”.
Titolo: Tradizioni popolari di Napoli.
Un viaggio nelle tradizioni ancora vive e significative nonostante le trasformazioni in atto. Nessuna cultura è mai completamente isolata – figurarsi quella di una città portuale – e la realtà è in continuo cambiamento. Ciò che invece è costante sono gli stereotipi, i giudizi e i pregiudizi creati da altri che finiscono col diventare credibili agli stessi abitanti della città: «Io sono napoletano perché canto, perché sono superstizioso, simpatico o “filosofo”». Tutte cose che non hanno nulla a che vedere con la vita delle persone. Eppure lo stereotipo funziona: è nata una retorica della “napoletanità”. Questo volume vuole osservarla, tentando di scardinare i luoghi comuni e di inserire la cultura napoletana in un più corretto ambito europeo. Mai come ora infatti è importante capire cosa siano le Tradizioni in una città che accoglie continuamente nuove culture e nuovi stili di vita.
Rappresentazione tra le più significative della religione cristiana, il presepe è il risultato di una lunga stratificazione di forme e contenuti, eterogenei per provenienza religiosa e culturale, i cui principali e irrinunciabili elementi costitutivi sono profondamente influenzati da scritture apocrife, esegetiche e leggendarie, più che dalla stringata narrazione evangelica. Dietro le statuine che animano la scena della Natività residuano dispute teologiche, tradizioni, interpretazioni, significati, assimilati nel patrimonio mitico e religioso cui fa riferimento il presepe ecclesiastico e, in misura maggiore, quello popolare. Personaggi, animali, miti e simboli, nati sotto la spinta di specifiche esigenze dottrinali, che nel corso dei secoli acquisiscono una loro sacralità e che conferiscono al presepe la poeticità, il fascino e la magia che giustificano, in parte, la sua indistinta diffusione tra credenti e laici.
La trasformazione patrimoniale del tarantismo nel Salento contemporaneo coinvolge in primo piano l’antropologia italiana e consente di rileggere in una luce nuova l’opera di Ernesto de Martino e il suo rapporto con il pensiero di Antonio Gramsci. Mettendo a fuoco questi argomenti, il libro affronta gli effetti sociali che La terra del rimorso continua a produrre negli stessi luoghi esplorati da de Martino e la sua équipe nel 1959. Il fenomeno della «taranta» oltrepassa oggi i margini sudorientali d’Italia e ci spinge a riconsiderare anche le frontiere tra cultura e politica, accademia e località, scienza sociale e conoscenza popolare. Agendo in un originale laboratorio di politica e cultura, la ricerca antropologica assume il senso di una proposta critica, aperta al dialogo e al confronto con cittadini, intellettuali, amministratori. Oltre i confini della legittimità accademica, si apre una sfida di antropologia pubblica che è anche un’opportunità di autentica partecipazione democratica: un modo per scoprire, insieme, un sentiero nuovo, che ci porti fuori dal cono d’ombra di un cattivo presente.
L’orso è l’ultima delle grandi fiere che il mondo abbia conosciuto, un generatore di simboli adatto a individuare realtà diverse tra loro: dalle comunità gay “Bears” alla Coca-Cola, dalle costellazioni alle squadre di rugby. In questo insolito saggio, una vera e propria biografia dell’orso, si ripercorrono i rapporti intercorsi tra l’uomo e l’animale nei secoli e nelle culture: dalla Preistoria e il suo presunto “culto dell’orso” al mondo greco, dove l’animale dà nome a costellazioni e accompagna le ragazze di buona famiglia alla vita matrimoniale attraverso il rito dell’aratela; dal mondo romano, dove combatte contro altri animali, gladiatori, cristiani e criminali, all’età medievale, quando i cuccioli sono utilizzati da principi e re come dono per le dame e gli adulti come cavalcature di santi. Un’epoca in cui gli uomini possono trasformarsi in terribili Berserkir, i mitici guerrieri-orso delle saghe nordiche. Il volume spazia anche tra le culture etnologiche: dagli Ainu giapponesi agli indiani d’America, dagli Inuit agli sciamani tungusi, per raccontare con linguaggio accessibile anche ai non specialisti realtà antropologiche come “Signore degli Animali”, Bear Ceremonialism, sciamanesimo. Anche nelle tradizioni occidentali l’orso è ancora presente nei racconti e nelle maschere di Carnevale: i loro significati profondi saranno ricercati in un piacevole viaggio che va da Aristotele a King Kong. Senza dimenticare le compagnie italiana, gitane e russe degli orsanti.
Titolo: Storia e simbologia dell’albero. Il rapporto uomo-albero tra antropologia culturale e storia delle religioni
“La trama imponente di significati simbolici che, nelle varie culture umane, si sono sviluppati intorno all’albero dipende dall’importanza che questa forma vegetale ha sempre assunto: produttore di beni alimentari, materiale di costruzione utilizzato dagli oggetti più semplici a quelli più complessi, dalle prime forme di vanga alla canoa, alla capanna, al tempio e alla nave, difesa dei terreni aperti contro i venti e gli uragani, ricco per le sue radici, per la sua scorza, per i fiori, le foglie, la frutta, di una sconfinata serie di sussidi terapeutici, l’albero diviene nella storia umana un bene primario o fondamentale intorno al quale si costituisce una costellazione di valori prevalentemente positivi che si esplicano nel gioco dell’immaginario. Anche qui vale la regola interpretativa secondo la quale un elemento della natura si arricchisce di segnali simbolici in rapporto diretto con l’importanza economica che esso assume nel gruppo umano: la dialettica del simbolo trasforma in tutt’altro il bene primario e lo costituisce in realtà radicali che riguardano, al di là dell’appartenenza dell’albero al regno vegetale, la rappresentazione di quadri cosmici ed esistenziali.” (A, M. di Nola)
Questo libro propone un itinerario etnografico, antropologico e storico che attraversa tre ambiti: dalle politiche della medicina popolare, alle poetiche del corpo femminile, alle pratiche della possessione europea. A partire da una ricerca in Campania, prendono vita storie di donne che, in una prospettiva critica, si rivelano in grado di spingere l’antropologo a ripensare il proprio lessico teorico-concettuale, interrogando il rapporto fra produzione intellettuale e dimensione corporea. In un confronto tra etnografia endotica, praticata ai margini dell’Europa, e studi etnografici condotti in contesti esotici, è messa in questione la tenuta di nozioni quali possessione, stregoneria, sciamanismo. Guardando oltre la categoria di medicina popolare, l’autore indica una via per esplorare la storia culturale e la pertinenza etnografica e antropologica della possessione europea, attraverso lo studio di metafore corporee animali – fra cui quella del ragno-utero – che attraversano estasi e possessione, sogno e paura, desiderio e disagio. Quadri culturali in cui si cerca di individuare quel processo che connette l’esperienza corporea ai piccoli racconti locali e alle grandi narrazioni mitologiche di tradizione intellettuale e popolare. Una triangolazione storicamente profonda che, da un’area del sud Italia, disvela la centralità teorica dello statuto corporeo femminile nella storia culturale europea.
Giancristofaro ci aiuta a ripercorrere le tappe dell’emigrazione utilizzando una chiave di lettura, anche e soprattutto in funzione squisitamente storica, assai più efficace e penetrante che non le tabelle ministeriali o le cantilene populistiche costruite a tavolino dalle case discografiche, qualche cosa di meno trionfalistico delle une ed assai meno recriminatorio delle altre; né “migrazioni bibliche” alla Rossi Doria né geremiadi e piagnistei alla Profazio, ma mezzo secolo di storia regionale filtrata attraverso protagonisti autentici, che meglio di chiunque altro hanno rivissuto il passato, con i suoi ritardi e le sue vischiosità innumerevoli, ma più prontamente di molti altri, dai politici ai turiferari ed ai pennivendoli, si sono inseriti nell’avvenire, perché hanno contribuito nei fatti, sia pure inconsapevolmente e dolorosamente, a costruirlo. (Raffaele Colapietra)
Queste cadenze di lettere abruzzesi divengono il palinsesto subalterno di una miseria culturale non risolta, ma aggravata nel trasferimento in paesi lontani. Parla, qui, una società maschilista, patriarcale, innestata nelle arcaiche radici pastorali e contadine… E allora un libro come questo, che non si disperde in teorie, diviene un referente conturbante del nostro tempo: poiché segna una storia dell’immobilità, della degradazione, del crollo, ma anche si apre, come testimonianza, su esperienze umane che la storia maggiore ignora. (Alfonso di Nola)
“Le specie vegetali arboree o erbacee possono essere oggetto di un particolare sfruttamento: l’uso per la preparazione di bevande fermentate e l’uso delle foglie, dei fiori, delle radici, della scorza ecc. per la loro particolare efficacia stupefacente, allucinatoria, eccitante, ipnotica. Ci troviamo, qui, ai limiti di fenomeni che appaiono eccezionalmente interessanti per le loro implicazioni religiose, mitiche e rituali, poiché, in ambedue i casi segnalati (bevande fermentate e utilizzazione di sostanze vegetali stupefacenti e analoghe), si rileva l’emergenza di condizioni fisio-psichiche facilitanti, sul piano dell’esperienza religiosa, quelle singolari fughe dalla realtà che appaiono nell’estasi e nell’orgia. I vegetali veicolano, in questi casi, loro specifiche mitologie, che riguardano l’introduzione dell’uso eccitante o narcotico, o presentano forme di divinizzazione delle specie utilizzate.” (A.M. di Nola) Un’antologia che evidenzia e ripercorre il bisogno dell’uomo, nelle diverse epoche, di distacarsi dall’essere storico per realizzare momentaneamente e funzionalmente una sua destorificazione, per poter così reinserirsi nel tempo umano e storico con rinnovata fiducia.
L’Abruzzo è una regione caratterizzata da mille peculiarità che differenziano le varie aree e al tempo stesso segnano una forte identità regionale. Una regione che, con la sua natura aspra e selvaggia, fra le più accidentate dell’Italia peninsulare, offre al visitatore splendidi paesaggi. Sfondi panoramici che Andrea Delitio (il più importante pittore del Quattrocento abruzzese) raffigurò nel duomo di Atri (Te), nei quali su ogni dosso e su ogni altura è rappresentato un castello. Una rappresentazione veristica del paesaggio fortificato della regione in quanto altissimo è il numero dei castelli, in particolar modo nella provincia de L’Aquila, dove ogni “castello”, ogni “rocca, ogni “torre” è intimamente connessa con il territorio e la sua storia. Tutto è riassumibile in una frase di Italo Calvino: “Il castello è un segno di sicurezza e rifugio in mezzo a una natura inospitale e ai pericoli d’un mondo di violenza e di sopraffazione, ed è insieme un segno di mistero, d’ingiunzione, di timore”. Una guida ai fatti, ai misteri, ai personaggi, ai miti, alle curiosità che si celano dietro le pietre di luoghi arroccati sulle montagne appenniniche, tra le rovine di castelli che custodiscono inestimabili ricchezze difese da esseri soprannaturali o da spiriti malefici. Un itinerario fra arte e architettura, cavalieri e fantasmi, storie d’amore e soprusi di ogni genere come lo spregevole “Jus primae noctis”.
Nata con l’obiettivo di indirizzare la ricerca antropologica sulle rappresentazioni della malattia e le forme di medicina nelle diverse società umane, oggi l’antropologia medica è una scienza critica e sperimentale che produce ricerche ed elabora riflessioni sui modi in cui il corpo, la salute e la malattia sono costruiti, negoziati e vissuti in un continuo processo dinamico, regolato da rapporti di forza e osservabile nella trasformazione storica e nella variabilità dei contesti sociali, culturali e politici. Questo libro si rivolge a quanti si avvicinano oggi all´antropologia medica sia come studenti di facoltà umanistiche e di scienze antropologiche sia nel campo della formazione medico-professionale e dell´assistenza. È un testo introduttivo, che intende fornire elementi di base per lo studio e la comprensione dell´antropologia medica e contribuire alla circolazione di strumenti e idee utili per affrontare la complessità dei processi politico-culturali che coinvolgono i corpi e le istituzioni, il rapporto fra salute e ineguaglianza, l´esperienza del dolore, i processi terapeutici, le strategie di cura. Il volume illustra quadri concettuali, ambiti di ricerca e potenzialità operative dell´antropologia medica contemporanea, in un´ottica di rilancio del dialogo fra antropologia e biomedicina
Reietti e perseguitati fin dalla loro prima comparsa in Europa, gli zingari hanno sempre ingenerato inquietudine e suscitato interrogativi sulle cause della loro dispersione per il mondo e del loro nomadismo: un modo di vita, che ancora oggi appare come pericolosa alterità agli occhi dei popoli sedentarizzati.Questo popolo misconosciuto, considerato ladro, bugiardo, parassita, senza cultura, ha dato vita a un patrimonio mitico e leggendario, in cui gli elementi appartenenti al mondo cristiano, ebreo, iraniano e indù, sono rielaborati in una visione religiosa non semplicemente sincretica, ma originale rispetto a tutto quello che nel corso dei secoli ha assorbito dai vari popoli. Prendono così forma, in tutta la loro originalità, i miti e le leggende sull’origine del mondo e degli zingari, sulle fate del destino, sui demoni e gli spettri che popolano il loro universo.Miti e leggende sulla morte e sull’aldilà pervasi da una dolente malinconia, a cui si alternano le narrazioni più solari e più gioiose sui loro mestieri e sulle loro arti, e i racconti eziologici che sembrano assecondare, con una sorta di ironica e rassegnata sopportazione, una spiegazione ai tanti stereotipi, luoghi comuni e pregiudizi che da secoli li accompagnano nel loro girovagare.
Una rete di ricercatori operò in Irpinia a partire dall’Ottocento. Cercarono racconti mitici, religiosi, leggendari, dell’aldilà, scioglilingua, fiabe… Cercavano forse le fate e i folletti di un nordico mondo incantato, e scoprirono una letteratura orale, ben distante da quella dotta, che conteneva un deposito enorme di conoscenze locali e storie di vita, offrendo al contempo prescrizioni e interdizioni. Attraverso le storie raccolte in questo volume, nei limiti legati a ogni trascrizione operata dalla “viva voce del popolo”, la cultura irpina, la sua storia, le sue credenze, le sue tradizioni, riescono comunque a filtrare, a giungere fino a noi, in un modo molto discreto, sottile e fiabesco.
Ci sono talmente familiari che pensiamo di conoscerli da sempre: eppure basterebbero poche domande per incrinare le nostre certezze su Babbo Natale e la Befana e per farci comprendere di quante tradizioni e significati siano portatori. Babbo Natale è una divinità o un santo? Un personaggio reale o un invenzione letteraria o, magari, pubblicitaria? I due autori rispondono a queste e a moltissime altre domande passando in rassegna tutte le tradizionali figure di portatori di doni, da Santa Claus a Santa Lucia, da San Nicola a Babbo Natale e alla Befana, raccontandone dettagliatamente le origini e la storia, e seguendone l’evoluzione attraverso i secoli. La loro esplorazione si estende alle tradizioni popolari dell’intero “tempo di Natale”, periodo che anche nelle civiltà extra-europee sembra essere caraterizzato dallo scambio dei doni, e più in particolare, dall’elargizione di regali a più piccoli; e giunge a ricostruire tutti i miti di cui i personaggi sono stati protagonisti del corso della storia
La percezione e rappresentazione del demonio nell’immaginario popolare assumono tratti ben differenziati da quelli che appartengono alla speculazione egemone, all’iconografia e alla narrativa agiografica più note e diffuse. Esse vengono a legarsi a pochi segnali fantastici, presentandolo come un essere di colore scuro o nero, con corna, cosa, piedi caprini, occhi infuocati, peli sul corpo, e accompagnato da uno sgradevole odore sulfureo oppure, alcune volte, può apparire sotto le sembianze di una bella donna , di un bel giovane, di un cavaliere o di un frate o anche di un semplice oggetto, altre volte sotto forma di animali comuni (gatto, pecora, asino , lupo, caprone ecc.) o repellenti (serpente, scorpione, verme, ragno topo, rospo ecc.). Il discorso che segue in queste pagine, non vuole essere una storia del diavolo in Italia, ma una ricerca degli innumerevoli indizi che il diavolo stesso ha lasciato qui e lì sparsi nel territorio (miti, fiabe, leggende, scongiuri, formule, esorcismi). Dall’enorme quantità di tracce diabiliche individuate sembra che legioni di diavoli abbiano percorso in lungo e in largo la penisola, lasciando un po’ ovunque segni inequivocabili del loro passaggio: un’orma impressa sulla roccia, segni di artigli conficcati nei ponti, cornate menate con rabbia, montagne spaccate o, addirittura, l’impronta del corpo.
Tutte le (altre) guide scritte su questa regione affascinante e misteriosa sembrano parlare solo ed esclusivamente di Napoli. Certo, questa caleidoscopica città ha tanto da mostrare, da raccontare; ma, diciamolo pure, se per un verso conosciamo (o lo presumiamo) bene Napoli, le sue feste, la sua cucina, le Napoli, le sue feste, la sua cucina, le leggende delle sirene e dei munacielli, per l’altro non sappiamo molto (o non abbiamo voluto saperlo) sul resto della Campania. Chi ci ha mai raccontato di riti in cui i bambini vengono immersi in un laghetto e le fasce appese ritualmente agli alberi? O di feste che durano un anno intero coinvolgendo lutti gli abitanti di un piccolo centro? Quanti poi hanno sentito parlare di paesi-museo, degli antichi riti del tiro al caciocavallo o di folli corse a dorso d’asino o a cavallo in onore di una santa? O di drammi popolari che ci vengono, per vie ignote, direttamente dal Medioevo? Le leggende e i miti raccontati in Campania, poi, non sono solamente quelli della sirena o di Virgilio mago, ma storie ancor più affascinanti e misteriose che. parlandoci di tesori nascosti, di duelli con draghi furiosi che si nascondono tra le nuvole. di invasioni di serpenti o di formiche, di morti resuscitati, di santi che lanciano pietre ai nemici, ricollegano la Campania ad un contesto più vasto, di respiro europeo. Siamo in presenza, cioè, di una cultura che risale al tempo dei grandi spostamenti dei “barbari” nord-europei o medio-asiatici, dei più mansueti monaci greci che scelsero questa terra, le sue grotte, per pregare Dio in santa pace. Un mondo che aspetta ancora di essere scoperto, studiato, visitato, un mondo “insolito” che non ha precedenti e la cui storia non è stata ancora raccontata.
Il volume, che raccoglie saggi di numerosi storici e studiosi di antropologia religiosa, si articola in due sezioni: la prima (La memoria) raccoglie testimonianze su Di Nola e la sua opera, la seconda (I percorsi) presenta scritti su tematiche affini ai suoi interessi scientifici e didattici. Tra gli argomenti trattati: Le religioni del Mediterraneo nel Novecento tra coabitazione e conflitto; Il dialogo interreligioso tra Oriente e Occidente; Spettacolarizzazione, mass media e dilemmi del religioso; L’infanzia protetta: dagli amuleti agli abitini; Il malocchio: note storiche e antropologiche; Ritualità e simbolismo dell’orso in Grecia; Sulla “possessione europea”; Contestazione e sollievo nei canti contadini; Da Gramsci all’hip-hop, alla ricerca del “popolare”.
Con la sua natura aspra e selvaggia e la sua gente dai costumi inconsueti, l’Abruzzo è sempre stato considerato una terra insolita e “lontana” che, nel Trecento, suscitava curiosità perfino nella non distante Toscana. Il progresso lui ovviamente modificato la gente e gli ambienti, ma questa resta la regione vere e d’Europa, per la presenza di tre grandi Parchi Nazionali, un parco regionale e 37 riserve naturali tra parchi territoriali e oasi naturali. Questo volume vuole essere una guida ai misteri che si celano diclino le pietre di luoghi arroccati sulle montagne appenniniche, all’interno degli eremi e dei monasteri costruiti tra le macchie dei rilievi, tra le rovine di castelli che custodiscono inestimabili ricchezze difese da esseri soprannaturali o da spiriti malefici. L’origine leggendaria del lago Fucino, i tesori i di Campo Consolino, Ateleta il paese senza tasse”, la leggenda di Angelo 1 eremita, quella del pane di san Nicola e quella di san Francesco e il barone Leggerone, lo sbatto dei gialli, la gioita dello scapigliato, San Domenico e i serpenti, la storia della statua di sant’Antonio e quella delle macchie della Luna, la fonte miracolosa di Monte Canale, la leggenda del Brigante gentiluomo e quella di Ovidio stregone, l’antro della Sibilla e il pozzo di re Saturno, la corsa degli zingari, la sedia di san Bernardo, l’erba che piega il ferro, la pietra della vergogna e quella che cura, il pozzo delle fate, il sangue del drago, il santo guaritore, la Madonna dei Miracoli, il Vate grafomane, la muraglia costruita dai giganti, la festa dei cornuti, il paese dalle case con i tetti di paglia, il latte della Grotta Nera, l’invasione delle formiche, la patria dei cuochi, la lapide delle malelingue: in queste pagine rivivono personaggi, fatti, curiosità, luoghi strani e miti di ieri e di oggi, che ci restituiscono il volto autentico e l’intima natura della regione.
Le storie dei protettori delle novantacinque città capoluogo delle province italiane sono un momento significante della storia civile che trova il suo punto di riferimento intorno a figure eminenti per taumaturgie, per impegno civile, per attività monastica, per interventi miracolosi, talvolta fino ai limiti dell’immaginario e del cavalleresco. L’agiografia urbana segue un suo preciso percorso storico. Dai primi protettori, che furono prevalentemente martiri, si passa, in una successiva fase medievale, ai vescovi protettori, in un periodo in cui al vescovo, spesso signore feudale, appare attribuita la funzione di “defensor urbis”. Posteriormente si aggiungono grandi figure di santità celeberi per l’ascesi, le riforme monastiche o la pratica quotidiana ed esemplare della carità. Queste pagine raccolgono, perciò, gli episodi leggendari degli eroi cristiani che già appartennero alla ingenua narrazione della Legenda Aurea o ai cicli pittorici delle chiese romaniche o gotiche. Ma il piano dell’immaginario, in una suggestiva sintesi, viene a fondersi con il rigoroso documento storico che accompagna le alterne fortune dei regno medioevali, delle invasioni e conversioni dei barbari, delle imprese dei Comuni e dei Principati.